martedì 30 aprile 2024

Viaggio di Liberazione

 Viaggio di Liberazione: Spacchettare gli Strati dell'Oppressione e della Libertà nel Pensiero Ebraico

 David E. Yirmeyahu

La narrazione dell'Esodo non è solo un racconto storico della fuga degli israeliti dall'Egitto, ma una profonda metafora della liberazione spirituale e personale. Questo post approfondisce come le storie e le leggi della Torah, così come le intuizioni del Talmud e dei testi mistici, offrano una visione sfaccettata di ciò che significa essere veramente liberi.

L'Egitto: Un simbolo di confinamento spirituale

Nella Torah, l'Egitto (Mitzrayim מצרים) non è solo il luogo fisico della schiavitù, ma anche un simbolo di costrizione spirituale e psicologica. Il termine ebraico Egitto, che deriva da "meitzar", che significa confini o luoghi angusti, sottolinea questa interpretazione metaforica. La situazione degli Israeliti in Egitto riflette le nostre lotte contro i limiti che ci confinano, siano essi abitudini, paure o pressioni sociali (Shemot [Esodo] 14:11-12).

Faraone: L'incarnazione dell'ego

Il Faraone, il tiranno che si rifiuta di liberare gli israeliti, simboleggia l'ego o la yetzer hara (inclinazione al male). Il suo cuore indurito è emblematico della nostra resistenza al cambiamento e alla crescita. Ogni volta che il Faraone indurisce il suo cuore contro i comandi di HaShem, rispecchia la nostra tendenza a resistere all'impulso divino verso il miglioramento di sé e la vita etica. Questa interpretazione invita a riflettere su come anche noi possiamo frenare la nostra liberazione spirituale a causa dell'ego e della testardaggine.

L'Esodo: un archetipo di redenzione

La storia dell'Esodo va oltre la semplice fuga dalla schiavitù e rappresenta un risveglio spirituale collettivo. Come descritto nella Torah ed esplorato attraverso il Talmud, questa liberazione è sia una liberazione fisica che un profondo viaggio spirituale dall'ignoranza all'illuminazione, dalla servitù al servizio divino (Talmud Bavli, Berachot 9b).

Attraversare il Mar Rosso: Una metafora delle trasformazioni della vita

La miracolosa divisione del Mar Rosso è un potente emblema delle trasformazioni cruciali della vita. Non si tratta solo di sfuggire a un pericolo fisico, ma anche di andare verso l'ignoto con fede, trascendendo i limiti precedenti e abbracciando una realtà completamente nuova: un viaggio dalla schiavitù alla libertà (Zohar, Shemot 170a).

La manna: confidare nella Provvidenza divina

La manna dal cielo insegna una lezione vitale sulla fiducia nella provvidenza di HaShem. Quando gli israeliti furono privati del loro sostentamento terreno, HaShem provvide a loro, insegnandoci a guardare oltre i bisogni materiali e a confidare nel sostegno divino, soprattutto nei momenti di incertezza (Esodo 16).

Implicazioni per oggi

Questi temi non sono confinati al passato, ma sono sempre attuali e offrono spunti di riflessione sulle sfide personali e comunitarie. Comprendere la profondità di questi insegnamenti può ispirarci a esaminare le forze interne ed esterne che ci opprimono. Anche noi, come gli israeliti, a volte desideriamo la familiarità dei nostri limiti piuttosto che muoverci coraggiosamente verso la libertà che il cambiamento offre?

Impegnandoci con queste interpretazioni scritturali e mistiche, come comunità possiamo trovare il coraggio di liberarci dai nostri "egizi", superare i nostri "faraoni" e attraversare i nostri "mari rossi". Il viaggio è una crescita e un rinnovamento continui, a testimonianza del potere duraturo della nostra tradizione di guidarci attraverso le complessità della vita moderna.

Questa esplorazione degli strati di oppressione e libertà invita ogni membro della comunità ebraica a riflettere sulle proprie storie personali di esodo e a trovare un significato più profondo nella ricerca della liberazione spirituale. Studiando questi testi e scoprendone i segreti, non solo ci riconnettiamo con la nostra eredità, ma ci mettiamo in grado di vivere una vita più soddisfacente, ancorati alla saggezza dei nostri antenati e all'eterna speranza di redenzione.

Peccato e Culto di Sé

 Peccato e Culto di Sé: Comprendere l'Idolatria nel Quadro del Libero Arbitrio

David E. Yirmeyahu

La mitzvà che proibisce l'adorazione di falsi dèi e idoli mette in luce una profonda verità: peccare intenzionalmente è simile a elevarsi allo status di divinità o idolo. Questa intuizione ci spinge a esaminare le origini del peccato. Spesso nasce dall'errata convinzione che il libero arbitrio ci conceda scelte illimitate. Quando scegliamo tra l'esecuzione di una mitzvà e il commettere un peccato, non riconosciamo la sovranità di Dio. Ci percepiamo come separati da Dio e dagli altri, il che è fondamentalmente sbagliato. Questa concezione errata ha portato all'espulsione dell'umanità dal Giardino dell'Eden, come spiegato nella Torah e in vari Midrashim.

Consideriamo i comandamenti espliciti che rafforzano questa prospettiva:

1. Non dobbiamo pensare a nessuna divinità che non sia Dio, come afferma Esodo 20:3: "Non avrai altri dèi di fronte a me".

2. Ci è vietato creare idoli, sia da noi stessi che da altri, come dice Esodo 20,4: "Non fatevi un idolo per voi stessi".

3. È vietato creare falsi dei per gli altri, come dichiara Levitico 19:4: "Non fatevi dei fusi per voi stessi".

4. Non dobbiamo fare immagini decorative, anche se non vengono adorate, come da Esodo 20:20: "Non fare una rappresentazione di nulla che sia con Me".

5. Non dobbiamo inchinarci a nessun falso dio, indipendentemente dalle usanze di culto, come avverte Esodo 20:5: "Non prostrarti a loro".

6. Ci viene comandato di non servire i falsi dèi nel loro modo abituale di adorazione, come ribadisce Esodo 20:3: "Non servirli".

Inoltre, ci viene ordinato di amare e temere Dio, come evidenziato in Deuteronomio 6:5 e 6:13, e di riconoscere la sua esistenza e la sua unità, come indicato in Esodo 20:2 e in Deuteronomio 6:4. Questi comandamenti sono fondamentali per la comprensione del nostro rapporto con il Divino.

La storia di Adamo ed Eva in Genesi 2:16-17 illustra ulteriormente le gravi implicazioni della disobbedienza a Dio. HaShem ordinò esplicitamente ad Adamo di non mangiare dall'albero della conoscenza del bene e del male, affermando che la conseguenza sarebbe stata la morte. Non si trattava di un invito al peccato, ma di un divieto, che sottolineava le responsabilità che derivano dal libero arbitrio. La scelta data ad Adamo ed Eva non era un permesso di trasgredire, ma piuttosto evidenziava la gravità delle loro decisioni.

Una citazione che ho scritto di recente racchiude questa prospettiva: "Un ebreo che non obbedisce a ogni aspetto della legge che Dio ha dato a Israele sul Monte Sinai è simile a uno che adora gli idoli e serve falsi dei". Questa affermazione sottolinea la convinzione che il mancato rispetto dei comandamenti divini equivalga all'idolatria.

Riconoscendo Dio in tutte le cose e comprendendo che non esiste una vera separazione da Lui, affrontiamo la sfida più grande per la nostra esistenza spirituale. Il primo passo verso la redenzione è il riconoscimento della verità all'interno della Torah e di noi stessi, che richiede una profonda contemplazione e realizzazione. Dobbiamo affrontare e trascendere l'illusione del libero arbitrio, comprendendo che, pur avendo la capacità di scegliere, le nostre scelte non sono prive di profondi costi spirituali.

Il Segreto della Giovenca Rossa Rivelato

 Il Segreto della Giovenca Rossa Rivelato: Il Ruolo di Mashiach nella Purificazione e nella Misericordia Divina

David E. Yirmeyahu

 

Il concetto di Giovenca Rossa è parte integrante dell'escatologia ebraica, in particolare nel contesto dell'era del Mashiach. Si dice che solo il Mashiach possieda la conoscenza necessaria per utilizzare la Giovenca Rossa per purificare il popolo ebraico che, essendo stato in esilio, è metaforicamente tra i morti, contaminato da questa forma di impurità. Le ceneri della Giovenca Rossa hanno un ruolo fondamentale in questa purificazione. Tuttavia, il metodo preciso con cui questa purificazione sarà raggiunta rimane inspiegabile nella Torah. Persino Salomone, rinomato per la sua saggezza, non riuscì a capire come il Mashiach riuscirà a raggiungere questo obiettivo.

Il dilemma sorge con il Kohen Gadol (Sommo Sacerdote) che, entrando in contatto con il popolo ebraico - simbolicamente tra i morti - diventerebbe egli stesso impuro. La domanda allora è: chi purificherebbe il Kohen Gadol? Questo rappresenta un conflitto significativo, poiché apparentemente non ci sarebbe più nessuno a compiere il rituale dell'aspersione delle ceneri.

Il concetto di fondo è la natura dell'esilio, che non è un semplice spostamento fisico, ma uno stato spirituale e mentale. Si può risiedere nella terra d'Israele ma essere comunque in esilio se il proprio cuore non è allineato con la Torah e se si è coinvolti nell'idolatria. L'arrivo del Mashiach illuminerà il paesaggio spirituale con la luce della Torah, metafora della verità divina e della saggezza senza pari. Il Mashiach comprenderà e applicherà intuitivamente tutte le leggi pertinenti con una rapidità e una perspicacia senza precedenti, un compito che in genere richiederebbe la deliberazione del Sinedrio.

Al centro di questa visione escatologica c'è il concetto di peccato involontario. Il popolo ebraico, anche quando sbaglia involontariamente nel suo servizio agli idoli, non è al di là della redenzione. Il rituale che coinvolge un toro, come discusso dal Rambam nel Mishneh Torah, non è solo per l'espiazione, ma serve come catalizzatore per il pentimento (teshuva).

In questi tempi tumultuosi, percepiti come un mondo alla rovescia, si nasconde una profonda opportunità di misericordia. Secondo il pensiero escatologico ebraico, nell'era del Mashiach, coloro che un tempo erano considerati malvagi saranno visti come giusti, illustrando una misericordia divina trasformativa che dipende dalla capacità di ricevere e donare misericordia. Questa trasformazione è fondamentale per l'espiazione e il rinnovamento spirituale.

Inoltre, il concetto di morte fisica è qui simbolo di un malessere spirituale più profondo, la morte dell'anima, che suggerisce una profonda disconnessione dalla verità divina. La narrazione della Genesi, dove la disobbedienza dell'umanità all'Albero della Conoscenza ha portato a una forma di morte spirituale, inquadra questa condizione come un esilio continuo, una continua discesa della coscienza fin dai tempi di Adamo ed Eva.

In questa continua saga della creazione, siamo esortati a scegliere la vita, a vedere oltre le illusioni del libero arbitrio e le libertà ingannevoli che ci portano lontano dai comandamenti divini. Il ruolo del Mashiach non è solo quello di guidare, ma anche di rivelare le misericordie nascoste nelle nostre prove, offrendo una via d'uscita dall'esilio spirituale imposto dalle nostre scelte e dalle distorsioni dei nostri insegnamenti e ideologie.

In sostanza, la chiamata a scegliere la vita è un appello a rifiutare gli inganni che hanno portato alla schiavitù spirituale, a riconoscere la morte delle ideologie dannose e ad abbracciare una visione rinnovata della verità e della misericordia divine. Questa scelta è cruciale, perché rappresenta un'opportunità collettiva di rinascita e di liberazione spirituale.

Lezione di Tanya di oggi 22 Nissan 5784

 Lezione di Tanya di oggi 22 Nissan 5784 - 30 aprile 2024

Likutei Amarim, metà del capitolo 42

anche se non ha sembianze corporee,

Come si può allora dire che Dio possiede un "occhio" e un "orecchio", organi che fanno parte di un corpo fisico?

Ma al contrario: è proprio per questo che tutto gli viene rivelato e conosciuto infinitamente di più che, ad esempio, attraverso il mezzo fisico della vista e dell'udito.

Quando diciamo che Dio non possiede alcuna somiglianza corporea, intendiamo dire che non è vincolato dalle fragilità di un corpo fisico. Un occhio fisico può osservare la corporeità, ma non la spiritualità; può vedere solo quando c'è luce adeguata, e solo fino a una certa distanza, e così via. Anche l'udito fisico è limitato. Il "vedere" e l'"udire" di Dio, invece, possiedono solo i pregi di queste facoltà, ma nessuna delle loro limitazioni fisiche. Va da sé, infatti, che qualsiasi qualità posseduta dagli esseri creati è sicuramente posseduta dal loro Creatore.

A titolo esemplificativo, il "vedere" e l'"udire" di Dio, e il fatto che tutto gli sia rivelato e conosciuto, sono come un uomo che conosce e sente dentro di sé tutto ciò che accade e viene sperimentato da ciascuno dei suoi 248 organi, come il freddo e il caldo, sentendo anche il calore delle sue unghie dei piedi, per esempio, come quando viene bruciato dal fuoco; così anche la loro essenza e sostanza,

Cioè, una persona non solo è consapevole di tutto ciò che accade ai suoi organi, ma sente anche gli organi stessi.

e tutto ciò che è influenzato1 da essi è noto alla persona e percepito dal suo cervello.

Non c'è bisogno di usare gli occhi o le orecchie per vedere o sentire ciò che è accaduto a un arto del corpo, come il dolore di una mano o di un piede bruciati, perché lo sa e lo percepisce nella sua mente.

In modo analogo, per analogia, Dio conosce tutto ciò che accade a tutti gli esseri creati, sia del mondo superiore che di quello inferiore, perché tutti ricevono il loro flusso di vita da Lui, come è scritto2: "Poiché da Te provengono tutte le cose".

Come il cervello, che è la fonte di vita di tutto il corpo, conosce ciò che avviene al suo interno, così anche Dio, la Fonte di tutta la vita, conosce ciò che avviene in tutta la creazione.

Questo è il significato di ciò che diciamo3: "... e nessuna creatura è nascosta a Te", in quanto tutti gli esseri creati emanano da Lui.

E come ha detto Maimonide parlando da filosofo (4e questo è stato concordato dagli studiosi della Cabala, come scrive Rabbi Moses Cordovero in Pardess),

che conoscendo se stesso, per così dire, conosce tutte le cose create, la cui fonte di esistenza è la sua vera esistenza.

Tuttavia, Dio fornisce la vita alla creazione in un modo diverso da quello in cui l'anima fornisce la vita al corpo. L'anima deve rivestirsi del corpo per fornirgli la vita. Così facendo, è influenzata dal corpo (perché "rivestire" implica che l'oggetto rivestito subisca un cambiamento). Dio, invece, non è soggetto a cambiamenti quando dà vita alla creazione. Quindi:

Questa analogia tra anima e corpo, tuttavia, serve solo a "calmare l'orecchio", a far sì che l'orecchio e l'intelletto dell'uomo percepiscano come si possa conoscere qualcosa senza doverla effettivamente vedere o sentire. In realtà, però, l'analogia tra anima e corpo non ha alcuna somiglianza con l'analogia tra Divinità e creazione.

Infatti, l'anima umana, anche quella razionale e divina, è influenzata dagli eventi che riguardano il corpo e il suo dolore, in quanto (l'anima razionale e divina) è effettivamente rivestita dall'anima vivificante (cioè l'anima che fornisce al corpo la vita fisica) che a sua volta è rivestita dal corpo stesso.

Dio, tuttavia, non è influenzato (per carità) dagli eventi del mondo e dai suoi cambiamenti, né dal mondo stesso,

Non è influenzato dall'esistenza (l'essenza e l'essere5) del mondo; nessuno di essi produce alcun cambiamento in Lui, Dio non voglia, né nella Sua assoluta unità; come era Uno e Unificato prima di crearli, così rimane Uno e Unificato anche dopo la loro creazione.

Per aiutarci a comprenderlo bene con la nostra intelligenza, gli Studiosi della Verità (cioè i cabalisti) lo hanno già trattato a lungo nei loro libri, e lì si troverà una spiegazione.

Tuttavia, tutti gli ebrei, in quanto discendenti dei patriarchi che credettero in Dio, sono "credenti, discendenti di credenti", senza alcuna speculazione dell'intelletto mortale, e dichiarano6: "Voi eravate [gli stessi] prima che il mondo fosse creato", e così via,

Il brano conclude: "Tu sei [lo stesso] da quando il mondo è stato creato"; quindi, tutti gli ebrei credono fermamente che la creazione del mondo non provoca alcun cambiamento in Dio,

come è stato spiegato sopra nel cap. 20.

NOTE

1. Il Rebbe indica in una nota a piè di pagina che non è corretto tradurre "tutto ciò che viene fatto loro", cioè l'effetto del caldo o del freddo sugli organi. Infatti, se così fosse: (a) questo è già stato menzionato in precedenza; perché ripeterlo di nuovo; (b) l'ebraico avrebbe dovuto leggere "nif'al bahem", che si tradurrebbe con "fatto loro", e non "mitpa'el bahem", che si traduce letteralmente con "ciò che è influenzato in loro". Per questo motivo la frase è stata tradotta con "e tutto ciò che è stato colpito in loro".

Inoltre, dice il Rebbe, è possibile che ci sia un errore di battitura e che la frase debba essere letta, מהם... - "e tutto ciò che è influenzato da essi", cioè tutto ciò che l'uomo nel suo complesso è influenzato dagli organi. Per questo motivo la traduzione è stata data alternativamente come "e tutto ciò che ne è affetto".

Questa emendazione è parallela a quanto si afferma poco più avanti, ossia che l'analogia della conoscenza degli organi da parte dell'uomo non è affatto simile all'analogo, poiché una persona è influenzata dal suo corpo; Dio, invece, non è in alcun modo influenzato dai cambiamenti del mondo. È quindi ragionevole supporre che l'analogia qui riportata sia quella della persona che è influenzata dai suoi organi corporei, perché è a questo proposito che l'analogo non è affatto simile all'analogia.

2. I Cronache 29:14.

3. Nella preghiera Mussaf di Rosh HaShanah.

4. Le parentesi sono nel testo originale.

5. Nota del Rebbe: "In linea con l'analogia (fine del lato (a) del testo ebraico). La creazione" non fa affatto parte dell'analogia, perché l'anima non crea il corpo. L'Alter Rebbe quindi non ne parla e non la nega nell'analogia".

6. Nelle preghiere del mattino.

lunedì 29 aprile 2024

Lezione di Tanya di oggi 21 Nissan 5784

 Lezione di Tanya di oggi 21 Nissan 5784 - 29 aprile 2024

Likutei Amarim, metà del capitolo 42

Il secondo è lo sforzo dell'anima - per rivelare i poteri dell'anima, affinché il servizio di esercitare il pensiero non le sia gravoso, per approfondire e riflettere sulla grandezza di Dio per un periodo lungo e ininterrotto, perché questa misura di tempo necessaria per immergersi in un concetto divino al fine di suscitare l'amore o il timore di Dio non è la stessa per ogni anima. Alcune richiedono più tempo, altre meno.

C'è l'anima naturalmente raffinata che, subito dopo aver considerato la grandezza di Dio, raggiunge il timore e la paura di Lui.

Come è scritto nello Shulchan Aruch, Orach Chayim, sec. I, che "Quando un uomo riflette che il grande Re - il Supremo Re dei re, il Santo, benedetto Egli sia, della cui gloria è pieno il mondo intero - sta sopra di lui e vede le sue azioni, sarà immediatamente sopraffatto dalla paura....".

E, come conclude lo Shulchan Aruch, "sarà umiliato e abbattuto davanti a Dio". Questo è vero per chi ha un'anima naturalmente raffinata; egli è "immediatamente... sopraffatto dalla paura", senza che sia necessario un grande sforzo o tempo da parte sua.

C'è poi un'anima di natura e origine umile, che proviene dalle gradazioni inferiori delle Dieci Sefirot di Asiyah,

All'interno dello stesso Mondo di Asiyah, il più basso di tutti i Mondi, questo tipo di anima proviene dalla più bassa delle Dieci Sefirot. Si tratta quindi di un'anima di "natura e origine umili", che ha difficoltà a concettualizzare le questioni divine.

e non è in grado di scoprire la Divinità con la contemplazione, se non con difficoltà e forte insistenza1.

Cioè, solo spendendo una grande quantità di sforzi e contemplando la Divinità per un lungo periodo di tempo sarà in grado di ottenere un grado di illuminazione divina e di concettualizzare una nozione di Divinità. Solo allora questa contemplazione penetrerà in una persona tale da renderla timorosa di Dio.

Soprattutto se l'anima non solo è di bassa natura, ma è stata anche contaminata dal "peccato di gioventù", perché i peccati si interpongono [tra un ebreo e Dio] (2come è scritto in Sefer Chassidim, cap. 35).

Tuttavia, con difficoltà e con sforzo, quando il suo pensiero si esercita con vigore e grande fatica e intensa concentrazione, si immerge a lungo nella contemplazione della grandezza di Dio,

Il precedente Rebbe Lubavitcher di benedetta memoria disse una volta in un discorso che un "lungo tempo" significa "un'ora oggi,... un'ora domani", finché alla fine la ripetitività di un'intensa concentrazione giorno dopo giorno farà sì che, per quanto bassa possa essere l'anima,

che, per quanto l'anima possa essere umile, si manifesti in lei almeno il "timore di livello inferiore" di cui sopra, cioè sufficiente a impedirle di fare qualcosa che si oppone alla Volontà di Dio.

(Riguardo all'affermazione dell'Alter Rebbe secondo cui, per quanto l'anima sia umile e nonostante i suoi peccati precedenti, con un'intensa concentrazione sulla grandezza di Dio raggiungerà sicuramente il livello inferiore di timore, il Rebbe commenta: "Da ciò comprendiamo anche che, anche prima di [raggiungere] questo [livello di timore], la persona riuscirà sicuramente ad annullare la sua separazione [da Dio] che è stata causata dai suoi peccati; cioè, [si pentirà dei suoi peccati e] si pentirà").

E, come hanno detto i Rabbini di benedetta memoria4: "[Se un uomo dice:] 'Ho faticato e ho trovato', credetegli".

Il Rebbe spiega: Il lavoro di una persona non solo la aiuta a ottenere qualcosa di commisurato alla quantità di lavoro, simile al pagamento ricevuto per svolgere un lavoro, ma le permette anche di dire: "Ho trovato". Infatti, nel caso di una persona che trova un oggetto, il suo ritrovamento ha un valore incomparabilmente maggiore rispetto al lavoro investito per trovarlo.

È anche scritto, a proposito del successo che si ottiene quando si lavora per raggiungere il timore di Dio5: "Se lo cercate come il denaro e lo cercate come un tesoro nascosto, allora capirete il timore di Dio".

Questo significa: Come chi cerca un tesoro nascosto, sepolto nelle profondità della terra, per il quale scava con instancabile fatica, perché sa che è sicuramente sepolto lì,

così si deve scavare con instancabile energia per rivelare il tesoro del timore del cielo, che giace sepolto e nascosto nella comprensione del cuore di ogni ebreo,

Poiché questo tesoro è sicuramente nascosto nel cuore di ogni ebreo, non resta che scavarlo e cercare di rivelarlo.

Questa "comprensione del cuore" è di una qualità e di un livello che trascende i limiti del tempo,

Perciò non si può dire che in un determinato periodo questo tesoro manchi e sia irraggiungibile.

E questa è la paura naturale e nascosta di cui sopra.

Sorge ora una domanda. Se questo timore è "naturale" e si trova sempre all'interno del cuore di un ebreo, perché allora è necessario adottare misure che comportano una profonda contemplazione della grandezza di Dio per ottenerlo? L'Alter Rebbe prosegue dicendo che, poiché questo timore si trova nei recessi del cuore, non influisce sulle azioni e non permette di astenersi dal peccare. È quindi necessario adottare misure che rivelino questa paura e che facciano sì che essa influisca sulle azioni effettive.

Tuttavia, affinché si traduca in azione, nel senso di "timore del peccato", in modo che ci si allontani dal male nei fatti, nelle parole e nei pensieri, è necessario portarlo alla luce dalle profondità nascoste della comprensione del cuore, dove trascende il tempo, e collocarlo nel regno del pensiero reale che è nel cervello.

[Immergervi il pensiero per un lungo periodo di tempo, fino a quando il suo effetto emergerà dal potenziale all'effettivo, in modo da influenzare l'anima e il corpo dell'uomo, affinché si allontani dal male e faccia il bene nel pensiero, nella parola e nell'azione, a causa di Dio che guarda e vede, sente e ascolta, percepisce tutte le sue azioni e scruta i suoi "reni e il suo cuore".

Quando un uomo si rende conto che Dio scruta i suoi pensieri più intimi, sicuramente si asterrà dal peccare e cercherà invece di compiere le mitzvot.

Come dissero i Rabbini di benedetta memoria6: "Rifletti su tre cose [e non arriverai a peccare: conosci ciò che è sopra di te] - un occhio che vede e un orecchio che ascolta....".

NOTE

1. Il Rebbe osserva che: "La formulazione è tratta da Sefer Chassidim, e così anche in seguito".

2. Le parentesi sono nel testo originale.

3. Il Rebbe osserva: Nella seconda edizione dello Shulchan Aruch dell'Alter Rebbe, in cui gli argomenti sono trattati - come è evidente - in modo più dettagliato e approfondito, l'Alter Rebbe aggiunge: "E se la persona non raggiungesse immediatamente il timore di Dio, dovrebbe immergersi profondamente.... Dovrebbe anche pentirsi completamente dei suoi peccati, perché sono loro che gli impediscono di raggiungere il timore [di Dio]".

Ciò integra l'affermazione dello Shulchan Aruch e della prima edizione dello Shulchan Aruch dell'Alter Rebbe (come citato sopra in Tanya), secondo cui "quando contemplerà... otterrà immediatamente questo timore....".

Così, nella seconda edizione del suo Shulchan Aruch, l'Alter Rebbe affronta la questione di cosa fare se il timore non viene raggiunto immediatamente. La situazione può essere risolta (a) "immergendosi più profondamente, ecc." e (b) "pentendosi completamente, ecc.".

4. Meghillah 6b.

5. Proverbi 2:4-5.

6. Avot 2:1.

Il Raduno dell'Esilio

 Il Raduno dell'Esilio: Il Mashiach Ha inziato a Riunire le 12 tribù?

Di David E. Yirmeyahu

Il raduno dell'esilio

Contempla profondamente questa nozione. Le dodici pietre sono paragonate alle dodici pietre sul sacro pettorale, ciascuna delle quali rappresenta una tribù del nostro popolo, vero? Inoltre, ogni pietra si allinea con un mese del calendario ebraico. Da questa meditazione preliminare si può discernere che queste pietre sono segni della generazione finale. Come è scritto, tutte le pietre convergeranno in un'unità singolare. Questa convergenza riecheggia la visione profetica dei bastoni di Efraim e di Giuda, uniti come uno solo. Efraim rappresentava le dieci tribù del nord, mentre Giuda rappresentava Beniamino e Giuda. Quindi, la loro unione preannuncia il raduno di tutte le dodici tribù.

Tornando ora alle pietre, ciascuna non solo segna un mese ma incarna anche energie e Sefirot distinte. Da queste osservazioni risulta che le dodici pietre vengono donate come strumento divino per l'ultima generazione. Il Mashiach usa questo sistema per identificare le dodici tribù in base al mese di nascita di ciascuna anima. Le anime di ogni mese, sebbene uniche, condividono un legame profondamente radicato, perché davvero tutta la creazione è intrecciata.

Attraverso la nostra unità, sia nella carne che nello spirito, queste dodici pietre si fonderanno in una sola. In tale unità, il Mashiach discernerà tutte le tribù, semplicemente osservandole, cogliendo semplici verità sulla loro esistenza e percependo l'orchestrazione divina attraverso le epoche, così come i percorsi dell'esilio e del ritorno come rivelati a Mosè al crepuscolo del Deuteronomio.

Il raduno degli esuli è più simbolico che fisicamente significativo, è fondamentale fare un passo indietro, osservare e comprendere la nostra attuale posizione riguardo alla Terra d’Israele. Poiché Israele si unisce come forza spirituale prima che fisica, il raduno fisico segue e non è il tema centrale che ci viene presentato.

Pertanto, è fondamentale riconoscere che le parole dei Profeti non vanno prese alla lettera; piuttosto, le profezie spesso arrivano metaforicamente, con simboli che incarnano verità divine più profonde. Dobbiamo esercitare cautela e non soccombere all’assalto che prende di mira la nostra nazione, un assalto perpetuo volto a distorcere e falsificare le parole dei nostri Profeti manipolando le masse verso interpretazioni letterali delle profezie. Questa tattica è utilizzata da coloro che non comprendono, riconoscono o rispettano la Torah, conosciuta come Erev Rav. Dobbiamo resistere fermamente al permettere a coloro che hanno l’obiettivo primario di manipolare e indebolire la Torah di dettare la nostra comprensione di essa.

Possa tu essere benedetto dalla saggezza necessaria per discernere i significati più profondi degli insegnamenti e l'unità che essi apportano. Possa la tua comprensione crescere come i cedri del Libano, forti e retti, e possano la pace e la comprensione fiorire nel tuo cuore mentre percorri i sentieri tracciati dai nostri antenati. Possa la luce della Torah illuminare il tuo viaggio e possa tu trovare realizzazione nell'abbraccio del nostro patrimonio collettivo. Shalom.

 

domenica 28 aprile 2024

Lezione di Tanya di oggi 20 Nissan 5784

 Lezione di Tanya di oggi 20 Nissan 5784 - 28 aprile 2024

Likutei Amarim, metà del capitolo 42

Questa capacità e questa qualità di attaccare la propria Daat a Dio, in modo che non solo comprenda, ma anche senta la Divinità e quindi si unisca completamente a Lui, è presente in ogni anima della Casa d'Israele, in virtù del suo nutrimento (yenikah, lett. "allattamento") dall'anima del nostro maestro Mosè, pace a lui.

Solo che, dal momento che l'anima si è rivestita del corpo, ha bisogno di un grande e potente sforzo, raddoppiato e raddoppiato, per sentire ed essere attaccata a Dio.

Se è vero che l'anima ha questa capacità grazie al fatto di essere stata nutrita dall'anima di Mosè (perché, se l'anima fosse priva di questa capacità, anche il più grande sforzo sarebbe inutile, perché come può un essere creato comprendere e sentire il suo Creatore? Come può un'anima racchiusa in un corpo sentire ed essere legata alla Divinità?), tuttavia, anche dopo aver posseduto questa capacità, è necessario uno sforzo prodigioso per comprendere e sentire effettivamente la Divinità.

Il primo è lo "sforzo della carne", per liberarsi dalle catene corporee, per schiacciare il corpo, cioè per indebolire la sua corporeità e ottenere la sua sottomissione, in modo che non oscuri la luce dell'anima, rendendo così possibile la comprensione e il sentimento di Dio,

Come è stato detto, sopra1 nel nome dello Zohar, "Un corpo in cui la luce dell'anima non penetra deve essere schiacciato", e questo si ottiene per mezzo di riflessioni penitenziali dal profondo del cuore, come è spiegato lì.

Quando si è indebolita la grossolanità del corpo, in modo che non sia più di ostacolo, diventa possibile che la "luce dell'anima" si manifesti. Questa è dunque una modalità di sforzo, nota come "sforzo della carne".

NOTE

1. Inizio del cap. 29.

ZOHAR QUOTIDIANO 4542 ACHAREI MOT

 ZOHAR QUOTIDIANO 4542 ACHAREI MOT - ACQUA FREDDA SU UN'ANIMA STANCA

Zion Nefesh

Zohar Acharei Mot

Continua dal precedente ZQ

#144

Aprì e disse: "Acqua fredda su un'anima stanca, questa è la Torah, perché chi merita di impegnarsi nella Torah e ne disseta l'anima, ciò che è scritto è "buona notizia da una terra lontana". Il Santo, benedetto Egli sia, gli proclama molte cose buone da elargire in questo mondo e nell'altro. Questo è il significato di "buona notizia". Da quale luogo è buona? Da una terra lontana, cioè da un luogo in cui il Santo, Benedetto Egli sia, era inizialmente lontano da lui, da un luogo in cui era inizialmente in odio a lui, come è scritto.

Giobbe 20:27

יְגַלּוּ שָׁמַיִם עֲו‍ֹנוֹ וְאֶרֶץ מִתְקוֹמָמָה לוֹ


"I cieli riveleranno la sua iniquità e la terra si solleverà contro di lui".

Da questo luogo, si affrettano a portargli la pace. Questo è il significato di "da una terra lontana". Ed è scritto;

Geremia 31:2

מֵרָחוֹק יְהוָה נִרְאָה לִי וְאַהֲבַת עוֹלָם אֲהַבְתִּיךְ עַל כֵּן מְשַׁכְתִּיךְ חָסֶד
"Da lontano YHVH mi è apparso dicendo: "Sì, ti ho amato di un amore eterno; perciò con amorevolezza ti ho attirato"".

(Manca la fine di questo testo dello Zohar).

#145

Salmo 50:1

מִזְמוֹר לְאָסָף אֵל אֱ‍לֹהִים יְהוָה דִּבֶּר וַיִּקְרָא אָרֶץ מִמִּזְרַח שֶׁמֶשׁ עַד מְבֹאוֹ
"Salmo di Asaf. Il Potente, Dio l'Eterno, ha parlato e ha chiamato la terra dal sorgere del sole al suo tramonto".

Rabbi Yehuda ha citato questo versetto e ha detto: "Abbiamo imparato che quando il giorno splende, quindici milioni e cinquecentomila cantori cantano le lodi al Santo, Benedetto Egli sia. E millecinquecentoquarantotto quando splende la luna, cioè di notte. 15.900.000 cantano le lodi quando il sole inizia a scendere a ovest.

sabato 27 aprile 2024

La lezione di Tanya 19 Nissan 5784

 La lezione di Tanya 19 Nissan 5784 di oggi · 27 aprile 2024

Likutei Amarim, inizio del capitolo 42

 Nel capitolo precedente l'Alter Rebbe ha spiegato che il timore di Dio è un prerequisito per il servizio divino. Ogni ebreo è in grado di raggiungere questo livello, contemplando come “Dio sta sopra di lui” e “scruta le sue redini e il suo cuore [per vedere] se lo sta servendo come è opportuno”. Questo pensiero lo porterà a far emergere almeno una certa misura di paura nella sua mente. Ciò a sua volta gli consentirà di studiare adeguatamente la Torah e di eseguire sia i comandamenti positivi che quelli negativi.

L’Alter Rebbe ha anche notato che questo livello di paura è noto come yirah tata‘ah, “paura di livello inferiore”, che è un passo preparatorio per la corretta esecuzione della Torah e delle mitzvot. Questo grado di paura deve essere manifesto, se lo studio della Torah e l’adempimento delle mitzvot devono essere considerati avodah, servizio divino.

Alla luce di quanto già detto a proposito del livello inferiore di paura, come sopra riassunto, si comprenderà chiaramente il commento talmudico1 al versetto2: “E ora, Israele, che cosa richiede il Signore tuo Dio da Voi? Soltanto che tu tema il Signore tuo Dio”. La Ghemarà chiede: "La paura, quindi, è una cosa così piccola?"

La Ghemarà risponde: "Sì, nel caso di Mosè è una piccola cosa", e così via.

Superficialmente, la risposta sembra essere che questo fu detto da Mosè al popolo ebraico, e per lui il timore di Dio è davvero una cosa semplice.

A prima vista la risposta della Gemara è incomprensibile, poiché il versetto chiede: "Cosa [Egli] richiede da te?" - cioè, cosa richiede Dio da ogni ebreo? Per la maggior parte degli ebrei, il timore di Dio non è certamente una conquista da poco. Che senso ha allora rispondere che per Mosè è una cosa semplice?

L'Alter Rebbe prosegue spiegando che la risposta della Gemara, che "nel caso di Mosè è una cosa semplice", non si riferisce solo a Mosè, ma al "Mosè" che si trova in ogni ebreo, perché Mosè permea tutti gli ebrei con il livello di Daat (lett. "conoscenza"), consentendo a tutti di legare la propria facoltà di Daat alla Divinità. È riguardo a questo livello di Mosè presente in ogni ebreo che viene fatta l'affermazione: "...nel caso di Mosè è una cosa semplice". Perché, quando un ebreo utilizza il potere di Mosè che si trova dentro di lui, cioè quando lega la sua Daat con la divinità, allora il timore di Dio è davvero una cosa semplice e facile da ottenere, come verrà spiegato tra poco.

Superficialmente, la risposta sembra essere che questo fu detto da Mosè al popolo ebraico, e per lui il timore di Dio è davvero una cosa semplice.

A prima vista la risposta della Ghemarà è incomprensibile, poiché il versetto chiede: "Cosa [Egli] richiede da te?" - cioè, cosa richiede Dio da ogni ebreo? Per la maggior parte degli ebrei, il timore di Dio non è certamente una conquista da poco. Che senso ha allora rispondere che per Mosè è una cosa semplice?

L'Alter Rebbe prosegue spiegando che la risposta della Ghemarà, che "nel caso di Mosè è una cosa semplice", non si riferisce solo a Mosè, ma al "Mosè" che si trova in ogni ebreo, perché Mosè permea tutti gli ebrei con il livello di Daat (lett. "conoscenza"), consentendo a tutti di legare la propria facoltà di Daat alla Divinità. È riguardo a questo livello di Mosè presente in ogni ebreo che viene fatta l'affermazione: "...nel caso di Mosè è una cosa semplice". Perché, quando un ebreo utilizza il potere di Mosè che si trova dentro di lui, cioè quando lega la sua Daat con la divinità, allora il timore di Dio è davvero una cosa semplice e facile da ottenere, come verrà spiegato tra poco.

La spiegazione, tuttavia, è la seguente: ciascuna anima della Casa d'Israele racchiude in sé qualcosa della qualità del nostro insegnante Mosè, pace a lui, poiché è uno dei3 "sette pastori"

che fanno affluire vitalità e pietà alla comunità delle anime di Israele, per questo sono chiamati “pastori”.

Proprio come un pastore fornisce nutrimento alle sue pecore, fornendo loro così vitalità, così anche i “sette pastori” sostengono le anime ebraiche con “vitalità e divinità”, ciascuno dal proprio livello spirituale. Abramo fornisce agli ebrei la facoltà spirituale di Chesed e dell'amore, e così via.

I chassidim raccontano che l'Alter Rebbe rifletté per un buon numero di settimane se scrivere che i "sette pastori" forniscono "vitalità divina" (חיות אלוקות), o se scrivere "vitalità e divinità" (חיות ואלוקות). Alla fine decise di scrivere quest’ultimo: “vitalità e pietà”. Perché “vitalità” si riferisce all’amore e al timore di Dio, poiché sono loro che vitalizzano l’adempimento della Torah e delle mitzvot; “Pietà” si riferisce all’autoannullamento davanti a Dio. I “sette pastori”, quindi, fanno fluire sia “vitalità che pietà” nelle anime ebraiche.

Il nostro insegnante, Mosè, pace a lui, comprende [gli aspetti di] tutti loro, ed è chiamato “il pastore fedele”. Ciò significa che egli attira la qualità di Daat alla comunità di Israele, affinché possano conoscere ed essere consapevoli del Signore, così che per loro la divinità sarà evidente e sperimentata da ogni ebreo, ciascuno secondo il punto di vista intellettuale. capacità della sua anima e la sua radice in alto, cioè, secondo l'altezza della fonte dell'anima come esiste in alto, e secondo [il grado del] suo nutrimento dalla radice dell'anima del nostro maestro Mosè, pace a lui , che affonda le sue radici nella Daat Elyon (“Conoscenza Superna”) delle Dieci Sefirot di Atzilut, che sono unite al loro Emanatore,

Proprio come Dio è definito il Creatore degli esseri creati, così è anche chiamato l'Emanatore di quelle entità che si trovano nel Mondo di Atzilut, un Mondo che, insieme ai suoi esseri, è un'emanazione dell'Ein Sof. poiché Lui e la Sua Conoscenza sono uno, e “Egli è la Conoscenza...”.

Come spiegato nel cap. 2 sopra, la conoscenza di Dio e quella dell’uomo sono completamente diverse. Sul piano umano, il conoscente, la facoltà di conoscere e ciò che è conosciuto, sono tre entità distinte e separate. Tuttavia, riguardo a Dio: “Egli è la Conoscenza, Egli è il Conoscitore, ed è Ciò che è Conosciuto”. Pertanto, la Conoscenza Superna è tutt’uno con Lui. Ed è all’interno di questo livello di Daat che l’anima di Mosè è radicata.

Quando un ebreo riceve la capacità di Daat dall'anima di Mosè, è in grado di percepire la Divinità in modo veramente consapevole e interiorizzato, in modo da poterLo sperimentare effettivamente. L'utilizzo di questa capacità consente ad ogni ebreo di sapere e sentire come "Dio sta sopra di lui... e vede le sue azioni". È quindi facile per lui suscitare dentro di sé il timore di Dio.

Tutto ciò, però, si riferisce all'aspetto luminoso di Mosè che viene ricevuto da ogni ebreo. L’Alter Rebbe ora prosegue dicendo che esiste un livello ancora più elevato di Mosè – una “scintilla” dell’anima di Mosè, che viene conferita ai leader spirituali e ai saggi di ogni generazione. (Una scintilla è una parte reale della fiamma, a differenza dei raggi di illuminazione che non fanno veramente parte del luminare. Quindi, anche le scintille dell'anima di Mosè trovate nei leader e negli studiosi di tutte le generazioni, sono una parte di Mosè ' anima.) Il compito di questi leader è quello di insegnare la grandezza di Dio al popolo ebraico, in modo che possano servire Dio con tutto il cuore.

In aggiunta e al di là di questa influenza pervasiva sulla comunità nel suo insieme, scendono, in ogni generazione, scintille dall’anima del nostro maestro Mosè, pace a lui, e si rivestono del corpo e dell’anima dei saggi di quella generazione, gli “occhi” della congregazione,

A causa della “scintilla” di Mosè che si trova in un leader spirituale, egli viene chiamato “Mosè”, come nell’espressione talmudica4 “Mosè, parli bene?” Questa scintilla è rivestita non solo nell’anima di un leader, ma anche nel suo corpo5. Questo è il motivo per cui i chassidim dicono che non ci si stanca mai di guardare un rebbe, perché dentro di lui c’è una scintilla di Mosè. Queste scintille rivestite di saggi e leader spirituali consentono loro di impartire la conoscenza alle persone, affinché possano conoscere la grandezza di Dio e [quindi] servirlo con cuore e anima.

Poiché il servizio del cuore, cioè l'amore e il timore di Dio, è secondo la Daat, secondo il proprio grado di conoscenza e comprensione della grandezza di Dio, come è scritto6: “Conosci il Dio di tuo padre e servi Lui con tutto il cuore e con un'anima desiderosa.

Pertanto, per "servirlo con tutto il cuore e con un'anima desiderosa", è necessario "conoscere il Dio di tuo padre" - conoscere e comprendere la sua grandezza. Questo viene insegnato al popolo ebraico dai sapienti di ogni generazione, nei quali sono racchiuse le scintille di Mosè.

Solo riguardo al futuro [era messianica] è scritto7: “E non insegneranno più ciascuno al suo prossimo, e ciascuno al suo fratello, dicendo: "Conosci il Signore", perché tutti mi conosceranno... "

Solo allora un insegnante non sarà più necessario. Tuttavia, nella nostra epoca, è necessario avere un mentore che impartisca la conoscenza della grandezza di Dio se si vuole sapere come servirlo con cuore e anima. E la propria dipendenza da Mosè attraverso gli studiosi intermediari di ogni generazione (le “scintille” di Mosè) è l’essenza stessa del proprio servizio divino.

Tuttavia, l'essenza della conoscenza che porta a servire Dio con tutta l'anima e il cuore, non è la semplice conoscenza, che le persone dovrebbero conoscere la grandezza di Dio dagli autori (cioè saggi e guide spirituali) e dai libri, ma la cosa essenziale significa immergere profondamente la propria mente in quelle cose che spiegano la grandezza di Dio, e fissare il proprio pensiero su Dio con forza e vigore del cuore e della mente, finché il suo pensiero sarà legato a Dio con un legame forte e potente, come è è legato a una cosa materiale che vede con i suoi occhi fisici e sulla quale concentra il suo pensiero.

Quando si fa così, si è fortemente legati all'oggetto dei suoi pensieri e non è in grado di liberarsene. Pensare a Dio e alla Sua grandezza dovrebbe essere fatto nello stesso modo totalizzante – e in tal modo il pensatore sarà veramente legato a Lui.

Poiché è noto che Daat connota unione, come nel versetto8 "E Adam yada (lett., 'conosceva') Eva...." La parola ידע in questo versetto connota unione. Daat implica quindi conoscere qualcosa al punto da essere completamente uniti ad essa. Lo stesso vale per quanto riguarda la conoscenza della Divinità. Anche se quando si conosce la Divinità si sta già adempiendo a una mitzvah, tuttavia ciò non è sufficiente; è necessario raggiungere l’unione di Daat meditando profondamente sulla grandezza di Dio.

NOTE

1. Berachot 33b.

2. Devarim 10:12.

3. Abramo, Isacco, Giacobbe, Mosè, Aronne, Giuseppe, Davide.

4. Shabbat 101b e altrove.

5. Spiegando perché l'Alter Rebbe dice qui che le scintille dell'anima di Mosè sono rivestite nel corpo e nell'anima dei saggi di ogni generazione, il Rebbe sottolinea: Sembrerebbe che l'ordine dovrebbe essere invertito - le scintille non si vestono da sole solo nell'anima del saggio, ma anche nel suo corpo.

Il Rebbe spiega però che se l'ordine fosse effettivamente invertito si potrebbe erroneamente essere indotti a pensare che la scintilla di Mosè vestito di salvia non raggiunga il suo corpo direttamente da Mosè, se non dopo essersi prima rivestita della sua anima. Affermando prima “corpo” e poi “anima” l’Alter Rebbe sottolinea il fatto che la scintilla di Mosè vestito di corpo arriva a destinazione direttamente da Mosè, senza l’interposizione dell’anima del saggio. Come la caratteristica distintiva di Mosè stesso si riferiva non solo alla sua anima ma anche al suo corpo, così anche per quanto riguarda la scintilla che emana da lui: essa è rivestita direttamente nel corpo del saggio.

Questo ci aiuta a comprendere più profondamente perché i saggi sono conosciuti come Mosè, come accennato in precedenza, poiché anche nei loro corpi è rivestita una scintilla di Mosè.

6. I Cronache 28:9.

7. Geremia 31:33.

8. Vedi sopra, cap. 3.

 

Lezione di Tanya di oggi 24 Nissan 578

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